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ICE - LAND

 Talvolta, per cogliere appieno certi segnali, è necessario fare un passo indietro, aumentare la distanza, mettere tra noi e l’oggetto il giusto spazio per poterlo mettere a fuoco. La lontananza toglie aderenza, smussa le anomalie, contestualizza l’insieme consegnando a quei piccoli dettagli che da vicino possono sembrare marginali un senso compiuto. E così accade che le esperienze esistenziali da soggettive acquistino valori collettivi, che le riflessioni teoriche portino a nessi inattesi, che percorsi intellettuali pervengano alla giusta conclusione dopo mesi di elucubrazioni. Così è stato, analogamente, per Ice-land: un progetto che ha saputo trasformarsi dall’immagine all’arte accomodando l’esigenza di un distacco innanzitutto geografico e successivamente transitorio; un doppio binario spazio-temporale che ha permesso a Sabrina Montiglia un’evoluzione intima e creativa, e al suo lavoro un risultato capace di trattenere contemporaneamente le bellezze naturali, le fragilità emozionali e le peculiarità espressive di un concetto che trova proprio nella sua incompiutezza la perfetta chiave di lettura.

Le immagini dalle quali questa serie deriva nascono a quasi 3000 km da qui, oltre un anno or sono, durante un workshop di fotografia naturalistica in Islanda. Un gruppo di persone riunite a immortalare gli stessi scenari, ad esercitarsi con panorami unici al mondo, ad allenare l’occhio e l’abilità tecnica per una resa quanto più efficace possibile. Un insieme di vedute molto simili per gli uni e per gli altri, accomunate dagli stessi colori, da quelle luci abbaglianti, da prospettive dilatate e orizzontali in un esercizio specialistico che poco lasciava alla libera interpretazione.

Per mesi Montiglia non è tornata su quell’esperienza e non ha riesaminato quegli scatti, complice un presente doloroso che non le consentiva di scindere il privato dall’episodio professionale. Come se il ricordo oscurasse la visione di una coltre complessa, che per sciogliersi ha richiesto un lungo processo di elaborazione dei contenuti.

Come tornare alla bellezza senza farne un’icona disgiunta? Come riappropriarsi di una percezione senza lasciarla galleggiare alla deriva? Lasciando al tempo il compito di scindere i piani della conoscenza, e alla competenza tecnica dell’autrice il ruolo di spezzare i legami emotivi e lasciar transitare l’ottica verso la materia. La risposta è dunque nel supporto, nel cambiamento di destinazione: convertire fotografie in sostanza da cui far ripartire l’idea, concedere loro l’illusione di una completezza effimera, giusto il tempo che la procedura del transfert impiega per rivelare quanto la colla ha saputo, di volta in volta e imprevedibilmente, trattenere.

L’Islanda non è solo la terra del ghiaccio: è un paesaggio straordinario con caratteristiche del tutto peculiari, che contempla meraviglie naturali da indurre lo stupore nell’occhio di chi guarda: aurore boreali e lunghe distese di praterie, grotte glaciali e vulcani. Ma quei luoghi, così come sono sempre stati colti con l’intento di documentarne le proprietà geologiche, illuministiche e cromatiche, li potremmo ritrovare intatti in moltissime pagine di riviste specializzate. E quello che vedremmo ha ben poco a che fare con quanto ammiriamo oggi in questa mostra. Ciò che ne è scaturito è, innanzitutto, un progetto d’arte e in quanto tale unico, di un’invenzione non ripetibile. Ogni singola fotografia è diventata stampa, e poi strato, e poi carta e poi, infine, foglio; su cui lasciare brandelli ricomposti con gusto e perizia e permettendo al caso di insinuarsi nell’esito finale. Lo strappo, che da metafora diventa mezzo espressivo, evidenzia il dettaglio lasciandolo indefinito, e si presta al racconto con tanta maggior ricchezza (perché aperta alla mano dell’uomo e alla sua consustanziale imperfezione) di quanto sarebbe avvenuto se l’immagine non avesse subito alterazioni alla propria purezza.

Il risultato ha effetti poetici e il sapore di tanta pittura romantica, dove l’incanto della natura si palesa in così grande ed estesa compiutezza da dissolvere la presenza umana o renderla minuta, inconsapevole. Le opere di Sabrina Montiglia inducono alla riflessione, a un intimo e quasi anacronistico contraddittorio con sé stessi. Il ritorno alla bellezza è compiuto: nelle nuvole rosa che avanzano verso il mare, nei cieli notturni a mostrare le stelle, nei ghiacci morbidi, ormai sciolti dal sole.

Barbara Paltenghi Malacrida

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